Anche (e soprattutto) le sportive piangono.

Da una settimana, è uscito lo spot Procter&Gamble per Londra 2012.

In rete si sussegue il dibattito: perchè fa piangere, e su questo segnalo la bella lettura razionale (ed emozionale) di Giovanna Cosenza; perchè è discriminante verso i papà, in quanto si vede solo 1 fotogramma dove il papà è presente e quindi, Iddio fulmini Procter & Gamble perchè restituisce un’immagine “distorta” della famiglia; perchè quelli di P&G Gamble sono stati dei volponi, e hanno fatto leva su sentimenti “facili” per arrivare alla fine a piazzare i loro bei marchi in coda, subito dopo che la mamma si scioglie nell’abbraccio per il suo “campione”.

Ecco, io non voglio fare della polemica. Ho visto questo spot 3 volte. Solo dopo la terza sono riuscita ad avere un parere, che comunque si distacca da tutti quelli che ho letto.

La prima, sola, davanti al pc: cuore che mi batteva quando vedevo i bambini allenarsi, occhi lucidi sul finale (molto lucidi).

La seconda, l’ho mostrata ai colleghi. Lavorando in un’agenzia di comunicazione, mi sembrava doveroso condividere per scambiarci alcune opinioni a riguardo. Averlo già visto non mi è servito. Sul finale, dopo che “Divenire” di Einaudi rallenta, giù lacrimoni su tutti quei “finali” di storie diverse (seppur tutte vincenti) e di sport diversi. 

La terza volta, finalmente, mostrandolo alle mie migliori amiche, con una delle quali ho anche condiviso grandi emozioni sportive, sono riuscita a “tenermi salda”. Non ho pianto, ma ho lasciato che la mia mente, andasse a ritroso fino al momento in cui sentivo il cuore battere, e l’occhio inumidirsi.

Non è l’essere stata bambina, l’aver fatto fatica e sacrifici per il nuoto prima e la pallavolo poi, ad avermi smosso.

Non è stato vedere le mamme che si commuovevano per i loro pargoli.

E’ stato vedere lo spot con gli occhi di una sportiva, che si immedesima nel momento “clou” dello spot: non vuol dire per forza vincere un’Olimpiade (eheheh, sogni di gloria, sarebbe bellissimo parteciparvi, ho preso appuntamento per la prossima vita ;)), ma semplicemente arrivare in fondo ad una gara, ad un qualcosa per cui ci si è allenato. Le gare che uno affronta tutti i giorni. Con se stesso e con gli altri che come lui si allenano. Sapere che mentre si compie tutto questo, non ci sono solo i genitori (mamma e papà, guai a chi li tocca, per me sono importanti allo stesso modo), ma c’è l’affetto delle sorelle, dei fratelli, degli amici, del fidanzati, della fidanzata, moglie, marito, …

Non c’è differenza. In quello spot non ho visto discriminazioni. Ho solo pensato che per me, per una sportiva, il momento vero, quello più “pieno” di vita, è quando arrivo in fondo a una gara e condivido il risultato, qualsiasi esso sia (vincente o perdente) con chi mi vuole bene.

Banalmente, come diceva Alexander Supertramp:

Felicità è vera solo condivisa

E domani corro in casa. Cercherò di non piangere :)

One thought on “Anche (e soprattutto) le sportive piangono.

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