Non ho mai pensato cosa volesse dire “organizzare” una gara, intendo podistica. In realtà non ho mai pensato bene nemmeno cosa volesse dire stare al di là dalle transenne, davanti alle quali di solito io mi spertico e uso le braccia tipo Playmobil per salutare le mie amiche quando capitano (anzi, capitavano) a vedermi a qualche gara.
Mi ricordo che quando giocavo a pallavolo, era davvero un supplizio stare a guardare le mie compagne di squadra se ero infortunata: vorresti essere lì, a fare quel pallonetto proprio in quel punto, o battere su quella zona perchè tanto il libero è marcio … E invece mi ritrovavo a urlarle queste cose, e quando sbagliavano mi buttavo sempre le mani sugli occhi per non vedere.
Ieri sera invece, ero al di là delle transenne di una piazza. Da dove ho visto partire tante, (ma tante!) runner tutte insieme per una non competitiva. Prima della partenza mi scappava il ghigno malefico quando vedevo passare le principianti, super coperte (era freschino) e dotate di marsupio (anni ’90iloveyou, yeah) alcune, riesumato dall’armadio di chissà chi in casa … erano ragazze giovani e io avrei voluto fermarle e dirgli: “no, no, guardate che poi scoppiate di caldo!” (okey, con qualcuna l’ho fatto) oppure: “Veh che con quel coso che sbatte lì davanti ti rompi … “, insomma, ho dovuto bastonare ben bene l’istinto materno.
Perchè in fondo per molte di loro era la prima volta che facevano una corsa organizzata, e sentivo i loro discorsi preoccupatissimi tipo: “oddio ma ci sarà l’acqua durante il percorso?!?!” oppure: “mi troveranno morta lungo un vicolo perchè mi scoppierà il cuore” (belle prospettiva di vita che hanno queste nuove generazioni); poi si prendevano per mano, 2 foto allacazzodicane più un hashtag a caso, e via nella bolgia per trovare quella carica, quella grinta che ti serve per affrontare le grandi imprese, e via alla partenza.
Nel mio autismo da organizzatrice isterica, ho staccato la testa solo una volta per concentrarmi sullo sparo, da quella posizione dove di solito io non sto mai. Per vedere “com’è” stare di fronte a una partenza di migliaia di persone. Pronta con il mio iPhone, volevo troppo catturare quel momento e poi riguardarmelo bene. Studiarmelo, perchè pochi istanti sapevo che avrei avuto i palmi in fiamme. Vedevo le ragazze di poco prima ridere, e non sapere se camminare o correre. E cosa potevo fare se non … applaudirle? (sì, okay, come gli umarells* mi sono scappati anche qualche: “brave!braveeee-e! braveeeeeeee! forza! brav” … ok basta, sono finite. Perchè per tutta una serie di motivi durante quei frame mi si era fermato il cuore, mi erano venuti gli occhi lucidi e non riuscivo a smettere di pensare che ‘sta cosa … la corsa … alla fine mi sta facendo bene lo stesso, anche se non la pratico. Anche se non la riesco più a desiderare (o forse non la voglio desiderare). Però mi fa emozionare, mi fa sentire viva e non me ne stanco.
Dopo la partenza, mi son persa di nuovo nel mio autismo/dovere lavorativo e non ho visto più nulla. Nemmeno un arrivo, se non un sacco di facce paonazze con ragazze che sembravano avessroe appena finito di correre da Maratona ad Atene e con qualcuna che orgogliosamente gridava all’amica: “ho finito! ho finito la maratona! che figata!” [evabbèh, da 10km a una maratona va’ te a spiegare che ci sono solo 32km in mezzo, ma son dettagli].
Ecco insomma, poi oggi mi ritrovo a vedere on line alcune foto, qua e là ecc. Ne vedo una e mi parte un brividino, con un filo di pelle d’oca.
Sono due ragazze, giovani, avranno 20 anni. Indossano la t-shirt da gara.
Si vede che sono all’arrivo, una delle due ha il viso un po’ sudato e le gote lucide. E’ lei che si appoggia alla spalla dell’altra, ma con slancio, quasi come fosse appena arrivata. Tiene gli occhi chiusi e ha un volto con un sorriso così beato, così “pieno” che non saprei descriverlo. Oggi avrò guardato quella foto almeno 5 volte, e tutte le volte mi vengono gli occhi lucidi.
O sto diventando veramente un umarell o la corsa arriva veramente “oltre” la corsa, oltre a chi corre.
*tipici soggetti maschili stanziati a densità medio alta da Bologna in giù verso la Romagna, (dove a volte assumono anche il nome di “scòsatesta” mano a mano che peggiorano con alcuni simpatici hobby, tipo rompere i coglioni a chi lavora nei cantieri, qui se ne possono vedere alcuni esempi corredati di foto)