I giorni dell’odio e del sole.

La metabolizzazione del mio secondo infortunio sta procedendo esattamente da manuale.

Mancarsi

Probabilmente fresca dalla delusione e dall’amarezza provati dopo il primo infortunio, a febbraio, stavolta la mia testa ha più o meno saltato quel momento di esasperazione totale, smaltendolo in un paio di giorni.

L’avere visto i ragazzi di RunLovers in tutto questo, sicuramente mi ha aiutato a “non pensarci troppo su”. La fase successiva, invece, quella del “Vaffanculo corsa” è in piena scena. Esattamente come ho descritto il mio rapporto con la corsa come un rapporto di coppia qui, confermo che una volta finite tutte le mie storie (amorose), mi è sempre venuta una particolare vena di odio, il chè rende ancora più fisiologico il mio attuale stato d’animo (di repulsione per la corsa).

In questo momento, sono andata in una modalità che forse è anche oltre l’odio, la chiamerei piuttosto di “secondaria importanza”: per 2 anni sono stata innamorata della corsa, ci ho messo anima e corpo, ricevendo tantissimo, ma ora che mi trovo a fare i conti senza di lei, inizio a vivere quell’altra parte di mondo che c’è sempre stata, ma che veniva sempre messa in seconda piano. E ora le parti si sono invertite.

Prendiamo ad esempio oggi. Arrivo della Strabologna in Piazza Maggiore, a pochi passi da casa. Esco per andare a vedere l’arrivo di alcuni colleghi, comoda – comoda, ore 11. In funzione di questo ieri ho tirato tardissimo potendo dedicare TANTO tempo a una carissima amica (e già non è male). Per la prima volta in vita mia (escludendo la 100km del Passatore), sono stata dall’altra parte di un traguardo.

Un effetto stranissimo vedere arrivare i bimbi che partivano prima (NB: ho notato con sconcerto che ai bambini veniva insegnato ad “alzare le braccia” all’’arrivo, questo per capire la poca cultura della corsa che c’è in Italia …) e poi gli adulti, senza desiderare di essere lì al loro posto. Credo che il mio cervello mi stia facendo un grande favore.

Acclamato e applaudito i colleghi, mi sono potuta lasciare andare in una passeggiata di quelle proprio da pieno fancazzismo della domenica mattina. Passeggiata breve, naturalmente, perché la caviglia e la gamba sono ancora parecchio logoranti e livide. Mi sono ovviamente arenata in Feltrinelli, ho comprato un libro di uno dei miei autori italiani contemporanei preferiti, Diego De Silva, “Mancarsi”*. E’ stato un colpo di fulmine, non sono nemmeno riuscita a terminare di leggere la quarta di copertina che lo stavo già pagando,

Bighellonando sono arrivata in Piazza Santo Stefano, ho preso il mio ambito posto al sole. Assorta nel libro, nel sole, nelle nuvole che passavano veloci sopra le teste, mia e di quelli che avevano finito di correre e cercavano un momento di relax, sono passate via due ore buone.

Mi guardavo attorno, leggevo e mi sentivo in pace. In pace con me che non correvo e non correrò ancora a lungo, che non parlerò dei miei impegni domenicali alle gare, delle scarpe nuove da running da provare, delle schede di allenamento da seguire, …

Sento che saranno 2 mesi molto strani, ma mi pare siano iniziati con il piede giusto, e il sole che oggi ha resistito su Bologna, mi è sembrato un ottimo auspicio.

“Non è vero che la vita ti sorprende. Quello che fa, soprattutto, è confermarti al tuo posto. Farti sentire dov’eri. Ribadire la felicità che ti è concessa”

Diego De Silva – “Mancarsi”

PS: per la cronaca oggi il libro l’ho iniziato e finito, e non perché l’ho mollato, ma perché ci sono arrivata in fondo tutto d’un fiato. Vedete poi voi se pensate sia il caso di leggerlo.

8 thoughts on “I giorni dell’odio e del sole.

  1. concordo con GM però mi piace questa nuova “filosofia di vita”. Prenditi e goditi tutto il tempo che vuoi , che le corse non scappano :)
    un altro abbraccio forte forte, anche se solo telematico per adesso

  2. Mmmm..
    leggo la tua riflessione e mi suscita spontaneo un interrogativo.
    Ma la corsa, si deve necessariamente intendere tutto o niente?
    Cioè, tento di spiegarmi meglio.
    Descrivi una giornata bella, trascorsa dalla sera prima donando piacevolmente del tempo ad una tua cara amica.
    Il giorno successivo vissuto senza fretta. “Esco alle 11” “cammino” “respiro” “MANGIO un libro..dalla prima all’ultima pagina”

    Due mesi dovranno trascorrere, ed anche a me, sembra positiva questa tua nuova impostazione, che invece di caricarti di attesa ti fa guardare con maggiore attenzione ciò che hai intorno.

    Ma allora, dico io (forse solo xché mai giunto al livello agonistico) non potresti semplicemente, una volta ripreso, fare meno gare, e cambiare il nome del blog in “arte di vivere”? :)

    Chi ti vieta di vivere qualche gara da spettatore… di indugiare al letto in un periodo in cui non ne stai preparando una.
    CIoè, se il piacere di correre è vero e vivo, una volta che uno ci ha dedicato gli allenamenti, perché non dovrebbe pensare di vivere altro?

    Descrivi queste cose quasi come chi, liberato da una costrizione, apre gli occhi e si rende conto che, tutto sommato la sua vita, per quanto a tratti piacevole, si stava perdendo dietro ad una passione.

    Ma allora mi chiedo, la corsa va costantemente nutrita o muore?
    Tutto o niente?
    Se puoi fammi capire…
    perché se dò per buono che, hai fatto sempre una cosa che ti piaceva e che ti faceva stare bene, l’unica perdita, al limite, la vedrei per coloro che ti stanno attorno.

    VIceversa, se delle volte è diventato un peso, magari una soluzione potrebbe essere semplicemente riportare questo aspetto della tua vita ad una dimensione più consona, che consenta di sposarsi con tante differenti espressioni di te.

    • Ciao Christian, legittime constatazioni le tue.
      Provo a spiegarmi: il nome del blog, è nato da una mia riflessione che mi è venuta spontanea due anni fa. Avevo appena iniziato a correre, e avevo fatto la mia prima 21km.
      Continuavo ad allenarmi, per capire cosa potesse succedere, perchè avevo raggiunto il mio obiettivo e non me ne stavo ponendo altri, Così, mi sono concentrata su quello che sperimentavo ogni volta che correvo, nella sua semplicità: che potevo andare, ed essere preoccupata per qualcosa, e allora la mia corsa diventava a perdifiato, quasi a lasciarmi i problemi alle spalle. Correvo ed andavo a cercare percorsi nuovi quando ero particolarmente felice, perchè potevo concentrarmi su qualcosa di nuovo. Ed ogni uscita era per me qualcosa di inaspettato o da cui potevo imparare. Perciò ho pensato che correre era un’arte. E più semplicemente è come la vita, presa alla maniera di Forrest Gump e la sua scatola di cioccolatini: non sai mai cosa aspettarti.

      Poi è venuto tutto il resto: il fatto che la corsa dà tanto (come lo toglie) e che decidere di approcciarla in maniera più seria, comporta fare alcune scelte che in realtà non mi sono mai pesate, davvero. So semplicemente come sono fatta: o dò tutto al 100% oppure una cosa nemmeno inizio a farla. Penso che sia perciò normale il fatto che ora, mi accorga di tante cose a cui magari avevo tolto un po’ di tempo in favore dell’attività sportiva.

      In questo momento, la cosa più difficile, ma che mi pare mi stia riuscendo (con mia grande gioia!) è solo trovare un equilibrio: instabile, precario, ma pur sempre utile a farmi camminare sulla corda senza cadere.

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