Non so se sono a scoppio ritardato o semplicemente è che le cose mi piace vederle, viverle e poi ripensarci e farle mie. Una volta, ancora una e poi un’altra ancora.
Di sabato scorso, della Maratona dei Campionati Mondiali di atletica del 2013, che mi ha tenuto con le chiappe praticamente siliconate alla sedia, ho un sacco di dettagli in testa. Più me la gusto e più mi tornano alla mente.
Primo ricordo, Valeria (Straneo).
Di lei mentre corre e si scioglie le braccia, cosa che mi viene da fare anche a me spessissimo mentre corro. Io in più ho necessità di farmi “scrocchiare” il collo, cosa che lei invece noto non fa. (io ho una certa parentela con le giraffe, lei no). Vedevo questa e sotto leggevo il tempo che scorreva e il ritmo medio … 3’25’’/km. E ogni tanto … così, si scioglieva. Senza voltarsi mai indietro. Sguardo bello fiero, sempre rivolto in avanti. Ah giusto, saluti a destra e a sinistra quando le capitava e quel “5” volante dato a Emma Quaglia che mi ha fatto lasciare andare le prime lacrimucce …
E poi quegli ultimi 2km, dove la già campionessa mondiale, Kiplagat, la sorpassa; e lei che non le sta più dietro. Chissà cosa pensi in quei 2km lì. Perché già, se hai corso in quelle condizioni e a quel ritmo, il cervello non credo funzioni proprio a dovere. Credo che l’unico pensiero diventi veramente “ARRIVARE” a quel dannatissimo e meraviglioso traguardo. Tant’è che poi ci arrivi in fondo e cosa fai? La ruota. Valeria Straneo è un esempio perché incarna alla perfezione lo spirito con cui dovrebbe essere presa la corsa. Fatica, sì, ma anche sapersi lasciare andare e sorridere di aver raggiunto un signor risultato celebrandolo nella maniera più assurda possibile. Grandiosa.
Secondo ricordo, Emma (Quaglia).
Di questa ragazza, fino a poco prima della Maratona di Torino 2012, dove si scambiò quell’abbraccio da pelle d’oca con Valeria, non è che sapessi granchè. Poi seguendola un po’ di più, capisci che è di quelle che lavorano sodo e parlano poco. Così mi ritrovo ad ascoltare la sua rimonta, mentre non viene mai inquadrata. Primo passaggio rilevato 30° posto … che sfiga, penso, vai a quegli eventi a cui ti capita di partecipare una volta o due nella vita, e fai una prova così-così.
Poi inizia a rimontare … 25° …. 16° …. Tra le prime 10 …! Esticazzi, ripenso, ma come diamine?! Se c’è una cosa che non sono in grado di fare è andare in progressione (stima e lode perenni a chi ci riesce!). Vivo nel mito di Prefontaine, mi spompo e scarico all’inizio e poi di solito sono più o meno costante. Ma questa ragazza, mi ha fatto letteralmente cadere dalla sedia. Pagherei per fare una gara così!
Terzo ricordo, le ritirate.
Durante la maratona, ho visto diversi ritiri. Il primo, la cinese che in 5° posizione (mi pare) continuava a correre senza che la gamba le rispondesse più. Crampo, stiramento, non lo so. Questa continuava a trascinarsi e a voltarsi indietro, pure preoccupata (?) delle altre che arrivavano. L’etiope che ha corso fino al 30°km circa insieme a Straneo e Kiplagat. Non ce la fa più, amen. Stop. Vede se c’è qualcuna che arriva per farle da traino. Nessuno all’orizzonte e lei si ritira. Ma cosa passerà nella testa di un’atleta di quel livello quando si ritira? (curiosità mia personale che però sabato mi lacerava parecchio). Infine l’ultima, mi pare una russa in preda ai crampi pure lei. Si ferma o la fermano, perché veramente non ce la fa più. E qui la perdo di vista. Ma poi ad un certo punto, ci dicono dopo 3h 10’ (che sarebbe una merda di risultato, eh, ed è cmq moooolto meglio di quanto riesca a fare io sulla stessa distanza, tanto per dire) che quella stessa atleta, pur di arrivare al traguardo, se l’è fatta così come le veniva.
Credo porterò con me a spasso questi 3 ricordi per parecchio; per rifletterci, per assaporarmeli e per nutrirmici. Perché i mondiali vengono una volta ogni 2 anni e voglio dire, mi sa che me li devo far bastare.